La verità dell'intelletto

C'è chi gonfia le guance nella convinzione di poter aspirare a tutte le verità del mondo per poi
soffiare il nulla come un mantice bucato.
Friedrich Nietzsche
Vi fu un tempo in cui l'intelletto umano non esisteva ma ora esso esiste e cerca pure di spingersi al di là e al di sopra della sua condizione strettamente umana, sottraendosi all'infelicità del deserto terrestre, di tanto in tanto sollevando lo sguardo al cielo e innalzando di qualche metro ancora la cupola concettuale eretta in secoli di costruzione del pensiero. Poiché tuttavia il cielo delle verità metafisiche è un territorio praticabile soltanto dal basso il rischio è che la teoria filosofica sia una volta magnificamente affrescata ma invisibile. Si vorrebbe allora, a Dio piacendo, che almeno qualcuna di queste verità scendesse dal cielo come raggio di luce a fissarsi sulla nostra fronte, attraversandola da parte a parte (verità rivelate). Ma che proceda in altezza o in profondità, l’intelletto vivrà sempre la contraddizione del dubbio. Un verme, assai più attaccato alla terra, o un uccello in cielo sanno quanto basta per andare avanti senza doversi porre domande sulla propria esistenza come fa l’uomo.
L’intelletto non vive separato dal resto del corpo, anzi  è nella natura umana di legarlo visceralmente ad esso, sottoponendolo alle forze stesse della natura, facendolo vibrare sotto i colpi delle fatiche dell'esistenza. È vero quel che Friedrich Nietzsche ha scritto e cioè che l’intelletto è un mezzo per conservare l'essere umano che altrimenti scomparirebbe assai più rapidamente sulla faccia della terra. Ecco perché l’uomo ha delle preferenze per quelle verità le cui conseguenze gli appaiono piacevoli per la sua conservazione: “egli desidera le conseguenze piacevoli - che preservano la vita - della verità, è indifferente di fronte alla conoscenza pura, priva di conseguenze, mentre è disposto addirittura ostilmente verso le verità forse dannose e distruttive” [1].
L’uomo si salva aggrappandosi a travi di concetti positivi [2], a colpi estenuanti di verità costruite creativamente, sfidando le leggi fisiche, sulla sabbia dell’astrazione, tuttavia, di tanto in tanto, in bilico tra essenza e parvenza, scivolando all’indietro quando lo sguardo è tormentato dal vuoto o l'occhio è ingannato dalla apparizione di una finzione.
Nietzsche, quando dice che le verità sono come il metallo rimasto di una moneta ma non sono più monete, intende dire che le verità umane non valgono più di quel che sono fatte, levigando l’intelletto con gusto creativo la superficie dei concetti a formare una piacevole immagine astratta.  
In una ricostruzione filosofica delle verità, il filosofo risale con l'immaginazione sino al primo intelletto comparso sulla terra quando apparve, mitica come una vergine dea olimpica, una verità primigenia. Essa, fertile, sparse sulla terra la sua “qualitas occulta [3 ] affinché dalla prima potessero nascere tutte le altre verità. Essa ci fa dire che non esistono due foglie uguali ma di due foglie nessuno può dire che una lo è e l'altra no perché ambedue hanno quel qualcosa che è foglia che le fa veramente essere entrambe foglie ai nostri occhi. Inoltre, io dico che questa cosa è una foglia perché qualcuno prima di me ha detto che è una foglia e qualcun altro prima di lui ha detto la stessa cosa e così via dicendo. Le verità acquisite addormentano l’uomo desto che non ha più nulla da scoprire e nel sonno l’intelletto scopre soltanto la finzione, occupandosene allo stesso modo che si occupa della verità. “Pascal ha ragione quando sostiene che, se ogni notte ci si presentasse il medesimo sogno, noi ci occuperemmo altrettanto di esso quanto delle cose che vediamo ogni giorno: <<se un artigiano fosse sicuro di sognare ogni notte, per dodici ore filate, di essere re, io credo allora>> dice Pascal <<che egli sarebbe altrettanto felice quanto un re che sognasse tutte le notti, per dodici ore, di essere un artigiano>>” [4]. Per spiegare la metamorfosi della finzione in verità Nietzsche risale all'antica Grecia: “Quando ogni albero può avere l'occasione di parlare, nascondendo una ninfa, quando sotto la figura di un toro un dio può trascinar via le vergini, quando la stessa dea Atena viene vista improvvisamente, su un bel cocchio, attraversare le piazze di Atene in compagnia di Pisistrato - e tutto ciò è creduto dagli onesti Ateniesi - allora in ogni momento tutto è possibile, come nel sogno, e tutta la natura si agita attorno all'uomo, quasi fosse unicamente una mascherata degli dei, contenti di fare uno scherzo all'uomo con ogni specie di metamorfosi ingannevoli” [5]. Occorre capire gli antichi Greci come i moderni: se presa per vera, la verità è degna di fiducia perché non mente.




[1] F.Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, Adelphi, Milano, 2015, pag. 15
[2] Così Nietzsche: “Quella enorme impalcatura e travatura di concetti, aggrappandosi alla quale il misero uomo riesce a salvarsi lungo la sua vita”, cit., pag. 33
[3] cit., pag. 19
[4] cit., pag. 31
[5] cit., pag. 32

(pubblicato su www.progettoprometeo.it)