Che ci piaccia o no, il filosofo non è un essere modesto, non lo può essere, la modestia piace soltanto ai miserabili, i quali non avendo del loro vorrebbero tassare quelli che hanno e portargli via tutto. Un uomo che intenda vivere con la benevolenza degli uomini non sarà mai un filosofo. Così Arthur Schopenhauer: “La miserabilita’ dei più costringe i pochi uomini geniali o meritevoli ad atteggiarsi come se ignorassero essi stessi il proprio valore e di conseguenza la mancanza di valore degli altri: solo a questa condizione la massa è disposta a sopportare i meriti. Di questa necessità, ora, si è fatta una virtù, che si chiama modestia. È un’ipocrisia che viene scusata dall’altrui miserabilita’, la quale vuol essere trattata con riguardo” [1]. In verità il nostro buon Schopenhauer “non ama nessuno, né i dotti né gli ignoranti: in questo è il suo egualitarismo. Non v’è numero di parole che faccia di un uomo un dotto o un ignorante ma il possesso dell’intelletto che tutto muove, anche se stesso, e che sta come goccia nel deserto e condanna alla morte di sete” [2].
Il “più orgoglioso fra gli uomini, il filosofo, crede che da tutti i lati gli occhi dell'universo siano rivolti telescopicamente sul suo agire e sul suo pensare” [3]. Con quanta venerazione di sé il filosofo parla quasi avesse una nascita sua propria in cielo e di vivere la morte dei mortali non gli va. La vita naturale del filosofo è in cielo. Di più, la filosofia è “figlia del cielo” [4]. E mentre starà morendo vorrà fare della morte, della sua morte, un problema discutibile; meglio che il niente sia vero altrimenti a che gioverebbe annientarsi? Abborracciare la propria dipartita?: mai! Irresistibile sino alla fine, potrebbe chiudere la sua carriera con i versi “Non so se ho un'anima ma di certo ho una tomba” [5] o con i versi del poeta Arthur Rimbaud “Che cosa è mai il mio nulla, in confronto allo stupore che vi attende?” [6].
Ah la poesia!
L’ascensione di una mosca è meno rumorosa.
Ah l'ironia! (che si chiama anche “spirito”). Schopenhauer, che era uno che se ne intendeva, giocando con le lettere fece una stortura chiamando mortura la natura [8]. La morte è uno di quei fenomeni che raramente richiedono una dimostrazione. Come la si veda, il risultato finale è uguale per tutti, filosofi e uomini. Ma il filosofo, poiché sarà uomo di spirito anche da morto e volendo osservare meglio ciò che gli sta sopra e ciò che gli sta sotto, si punterà sui piedi o sulla testa ( “Innalzate I vostri cuori, fratelli miei, su, più in alto! E non dimenticate le gambe! In alto anche le gambe, o bravi ballerini; anzi, meglio: camminate con la testa all’ingiu’!” [9] ) e scopertolo avrà l’incontenibile desiderio di farci ancora poesia o ironia.
Il “più orgoglioso fra gli uomini, il filosofo, crede che da tutti i lati gli occhi dell'universo siano rivolti telescopicamente sul suo agire e sul suo pensare” [3]. Con quanta venerazione di sé il filosofo parla quasi avesse una nascita sua propria in cielo e di vivere la morte dei mortali non gli va. La vita naturale del filosofo è in cielo. Di più, la filosofia è “figlia del cielo” [4]. E mentre starà morendo vorrà fare della morte, della sua morte, un problema discutibile; meglio che il niente sia vero altrimenti a che gioverebbe annientarsi? Abborracciare la propria dipartita?: mai! Irresistibile sino alla fine, potrebbe chiudere la sua carriera con i versi “Non so se ho un'anima ma di certo ho una tomba” [5] o con i versi del poeta Arthur Rimbaud “Che cosa è mai il mio nulla, in confronto allo stupore che vi attende?” [6].
Ah la poesia!
La Morte al Filosofo
Di tante morti e di tanti uomini, oggi siamo tu ed io.
T’avrei forse dimenticato?
“Io sono perché tu sei” [7] - sic et simpliciter
- e oggi mi giova venire da te.
- e oggi mi giova venire da te.
Il Filosofo alla Morte
So da dove vieni (da me stesso).
Sopporto me ma non sopporto te - hoc est ridiculum.
L’ascensione di una mosca è meno rumorosa.
Ah l'ironia! (che si chiama anche “spirito”). Schopenhauer, che era uno che se ne intendeva, giocando con le lettere fece una stortura chiamando mortura la natura [8]. La morte è uno di quei fenomeni che raramente richiedono una dimostrazione. Come la si veda, il risultato finale è uguale per tutti, filosofi e uomini. Ma il filosofo, poiché sarà uomo di spirito anche da morto e volendo osservare meglio ciò che gli sta sopra e ciò che gli sta sotto, si punterà sui piedi o sulla testa ( “Innalzate I vostri cuori, fratelli miei, su, più in alto! E non dimenticate le gambe! In alto anche le gambe, o bravi ballerini; anzi, meglio: camminate con la testa all’ingiu’!” [9] ) e scopertolo avrà l’incontenibile desiderio di farci ancora poesia o ironia.
[1]A.Schopenhauer, O si pensa o si crede. Scritti sulla religione, BUR, Milano, 2015, pag. 40. Ancora sul concetto che il filosofo non può essere modesto: “Nelle teste mediocri la modestia è pura sincerità, nei grandi talenti è ipocrisia”, cit., pag. 42
[2]dal mio Schopenhauer e la minestra riscaldata, articoletto (2018) pubblicato sulle riviste on line ElecToRadio (https://www.electoradio.com/mag/accademia-dei-pugni/schopenhauer-la-minestra-riscaldata/) ed EreticaMente (http://www.ereticamente.net/2018/04/schopenhauer-e-la-minestra-riscaldata-alessandra-pennetta.html)
[3]F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, Adelphi, Milano, 2015, pag. 12
[4]A.Schopenhauer, cit., pag. 56 Religione e filosofia non possono stare nello stesso cielo secondo Schopenhauer ma la polemica che egli fa non rileva qui, volendo significare piuttosto la natura alta del filosofo che vive e muore distaccato già in partenza dal mondo
[5]versi miei. Mi sono stati ispirati dalla Preghiera di uno scettico di Schopenhauer, cit. pag. 45: “Dio - se ci sei - salva la mia anima dalla tomba - se io ho un’anima”
[6]dalla poesia Vite in A. Rimbaud, Libro pagano, trad. di A. Castronuovo, Stampa Alternativa, Viterbo, 2014, pag. 32
[7]versi miei dal Frammento XI (2018): “Io sono la morte,/io sono perché tu sei (...)”. Al lettore attento non sfuggirà di certo, sottinteso alla poesia, il concetto filosofico, facilmente intuibile per esperienza diretta, della correlazione secondo cui due cose esistono in quanto sono in relazione tra loro, ad esempio vita e morte
[8]così Schopenhauer: ”Natura è un'espressione corretta ma eufemistica: con uguale diritto si potrebbe chiamarla mortura”, voce La natura in L’arte di insultare, Adelphi, Milano, 2017, pag. 107 [9]F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit. in F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Rusconi Libri, Santarcangelo di Romagna, 2010, pag. 16
(pubblicato su www.progettoprometeo.it)
[2]dal mio Schopenhauer e la minestra riscaldata, articoletto (2018) pubblicato sulle riviste on line ElecToRadio (https://www.electoradio.com/mag/accademia-dei-pugni/schopenhauer-la-minestra-riscaldata/) ed EreticaMente (http://www.ereticamente.net/2018/04/schopenhauer-e-la-minestra-riscaldata-alessandra-pennetta.html)
[3]F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, Adelphi, Milano, 2015, pag. 12
[4]A.Schopenhauer, cit., pag. 56 Religione e filosofia non possono stare nello stesso cielo secondo Schopenhauer ma la polemica che egli fa non rileva qui, volendo significare piuttosto la natura alta del filosofo che vive e muore distaccato già in partenza dal mondo
[5]versi miei. Mi sono stati ispirati dalla Preghiera di uno scettico di Schopenhauer, cit. pag. 45: “Dio - se ci sei - salva la mia anima dalla tomba - se io ho un’anima”
[6]dalla poesia Vite in A. Rimbaud, Libro pagano, trad. di A. Castronuovo, Stampa Alternativa, Viterbo, 2014, pag. 32
[7]versi miei dal Frammento XI (2018): “Io sono la morte,/io sono perché tu sei (...)”. Al lettore attento non sfuggirà di certo, sottinteso alla poesia, il concetto filosofico, facilmente intuibile per esperienza diretta, della correlazione secondo cui due cose esistono in quanto sono in relazione tra loro, ad esempio vita e morte
[8]così Schopenhauer: ”Natura è un'espressione corretta ma eufemistica: con uguale diritto si potrebbe chiamarla mortura”, voce La natura in L’arte di insultare, Adelphi, Milano, 2017, pag. 107 [9]F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit. in F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Rusconi Libri, Santarcangelo di Romagna, 2010, pag. 16
(pubblicato su www.progettoprometeo.it)