Frammento (XXXII)

XXXII

Al calore brindo con il mio vapore./
Anche tu, bevi le mie gocce!/

Gioia./
Gloria in terra.
Illustrazione per "Ars Amatoria" di Ovidio, Enrico Ratti (2017)

Frammento (XXXI)

XXXI

Scenderò dal ramo,/
scenderò sulla terra,/

scenderò all'ombra./
All’ombra cercherò luce./

Poi scenderò nella terra,/
scenderò là dove si radica la vita alla radice./

Perché se all’ombra luce non c’è/
alla radice delle cose dovrò scendere/
per vedere che vita è.
Foto credit Marcello Mantegazza (2017) 

Frammento (XXX)


XXX
Zahra Saberi (2018) 

Amami ovunque./
Amami sotto di te./
Amami sopra di te./

Sono un gambo inarcato,/
sono una bocca che sboccia./

Sono un arco di trionfo/
per le tue dita che sfilano/

lungo il corso/
del mio corpo./

Amami ovunque./
Amami sotto di te./
Amami sopra di te.

(pubblicato su www.rivistagradozero.com)

Frammento (XXIX)

XXIX

Una goccia/
è l'amore/
di sudore/
su un dito che m’abbraccia/
sfinito.

Non so se ho un'anima ma di certo ho una tomba. Filosofia in versi

Che ci piaccia o no, il filosofo non è un essere modesto, non lo può essere, la modestia piace soltanto ai miserabili, i quali non avendo del loro vorrebbero tassare quelli che hanno e portargli via tutto. Un uomo che intenda vivere con la benevolenza degli uomini non sarà mai un filosofo. Così Arthur Schopenhauer: “La miserabilita’ dei più costringe i pochi uomini geniali o meritevoli ad atteggiarsi come se ignorassero essi stessi il proprio valore e di conseguenza la mancanza di valore degli altri: solo a questa condizione la massa è disposta a sopportare i meriti. Di questa necessità, ora, si è fatta una virtù, che si chiama modestia. È un’ipocrisia che viene scusata dall’altrui miserabilita’, la quale vuol essere trattata con riguardo” [1]. In verità il nostro buon Schopenhauer “non ama nessuno, né i dotti né gli ignoranti: in questo è il suo egualitarismo. Non v’è numero di parole che faccia di un uomo un dotto o un ignorante ma il possesso dell’intelletto che tutto muove, anche se stesso, e che sta come goccia nel deserto e condanna alla morte di sete” [2].
Il “più orgoglioso fra gli uomini, il filosofo, crede che da tutti i lati gli occhi dell'universo siano rivolti telescopicamente sul suo agire e sul suo pensare” [3]. Con quanta venerazione di sé il filosofo parla quasi avesse una nascita sua propria in cielo e di vivere la morte dei mortali non gli va. La vita naturale del filosofo è in cielo. Di più, la filosofia è “figlia del cielo” [4]. E mentre starà morendo vorrà fare della morte, della sua morte, un problema discutibile; meglio che il niente sia vero altrimenti a che gioverebbe annientarsi? Abborracciare la propria dipartita?: mai! Irresistibile sino alla fine, potrebbe chiudere la sua carriera con i versi “Non so se ho un'anima ma di certo ho una tomba” [5] o con i versi del poeta Arthur Rimbaud “Che cosa è mai il mio nulla, in confronto allo stupore che vi attende?” [6].
Ah la poesia!

La Morte al Filosofo 

Di tante morti e di tanti uomini, oggi siamo tu ed io. 

T’avrei forse dimenticato? 

“Io sono perché tu sei” [7] - sic et simpliciter
- e oggi mi giova venire da te. 

Il Filosofo alla Morte 

So da dove vieni (da me stesso). 

Sopporto me ma non sopporto te - hoc est ridiculum. 

L’ascensione di una mosca è meno rumorosa.
Ah l'ironia! (che si chiama anche “spirito”). Schopenhauer, che era uno che se ne intendeva, giocando con le lettere fece una stortura chiamando mortura la natura [8]. La morte è uno di quei fenomeni che raramente richiedono una dimostrazione. Come la si veda, il risultato finale è uguale per tutti, filosofi e uomini. Ma il filosofo, poiché sarà uomo di spirito anche da morto e volendo osservare meglio ciò che gli sta sopra e ciò che gli sta sotto, si punterà sui piedi o sulla testa ( “Innalzate I vostri cuori, fratelli miei, su, più in alto! E non dimenticate le gambe! In alto anche le gambe, o bravi ballerini; anzi, meglio: camminate con la testa all’ingiu’!” [9] ) e scopertolo avrà l’incontenibile desiderio di farci ancora poesia o ironia. 




[1]A.Schopenhauer, O si pensa o si crede. Scritti sulla religione, BUR, Milano, 2015, pag. 40. Ancora sul concetto che il filosofo non può essere modesto: “Nelle teste mediocri la modestia è pura sincerità, nei grandi talenti è ipocrisia”, cit., pag. 42
[2]dal mio Schopenhauer e la minestra riscaldata, articoletto (2018) pubblicato sulle riviste on line ElecToRadio (https://www.electoradio.com/mag/accademia-dei-pugni/schopenhauer-la-minestra-riscaldata/) ed EreticaMente (http://www.ereticamente.net/2018/04/schopenhauer-e-la-minestra-riscaldata-alessandra-pennetta.html)
[3]F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, Adelphi, Milano, 2015, pag. 12
[4]A.Schopenhauer, cit., pag. 56 Religione e filosofia non possono stare nello stesso cielo secondo Schopenhauer ma la polemica che egli fa non rileva qui, volendo significare piuttosto la natura alta del filosofo che vive e muore distaccato già in partenza dal mondo
[5]versi miei. Mi sono stati ispirati dalla Preghiera di uno scettico di Schopenhauer, cit. pag. 45: “Dio - se ci sei - salva la mia anima dalla tomba - se io ho un’anima”
[6]dalla poesia Vite in A. Rimbaud, Libro pagano, trad. di A. Castronuovo, Stampa Alternativa, Viterbo, 2014, pag. 32
[7]versi miei dal Frammento XI (2018): “Io sono la morte,/io sono perché tu sei (...)”. Al lettore attento non sfuggirà di certo, sottinteso alla poesia, il concetto filosofico, facilmente intuibile per esperienza diretta, della correlazione secondo cui due cose esistono in quanto sono in relazione tra loro, ad esempio vita e morte
[8]così Schopenhauer: ”Natura è un'espressione corretta ma eufemistica: con uguale diritto si potrebbe chiamarla mortura”, voce La natura in L’arte di insultare, Adelphi, Milano, 2017, pag. 107 [9]F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit. in F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Rusconi Libri, Santarcangelo di Romagna, 2010, pag. 16

(pubblicato su www.progettoprometeo.it) 

Frammento (XXVIII)

XXVIII

Cosa può darmi la tua bocca?/
Un tocco, un respiro, un sospiro./
Cosa può darti la mia bocca?/
Un tocco, un respiro, un sospiro./
Cosa possono darsi due bocche che si toccano?/
All'andata un respiro,/ al ritorno un sospiro.

Frammento (XXVII)

XXVII

Mi si è sfilato un filo di vita./
Lo stringo con un fiocco - mi ci strozzo!

Frammento (XXVI)

XXVI

Da un buco nella terra/
sbuca un verme,/
da un ciuffo d’erba/
sbuca un dito./

Dice il verme al nuovo compagno (al dito):/
- prima di te ho imparato a strisciare!/

Dice il dito al verme:/
- no, amico mio,/
tu sei verme ma io son dito,/
m’abbasso,/
mi levo,/
ma non striscio.

Frammento (XXV)

XXV

Ed io e l'uomo./
Marcello Mantegazza (2016)
E Dio e l'uomo./
Ed io e Dio. 

Frammento (XXIV)

XXIV

Puoi cavare la terra/
ma non il cielo./
Puoi cavare l’osso/
ma non l'anima./
Puoi cavare il sasso/
ma non la montagna./

Enorme è la china di Dio/
che tu vuoi risalire/
credendo di arrivargli agli occhi/
e vedendo da lassù/
credere quaggiù./

Frammento (XXIII)

XXIII

Potrei vivere/
in un punto senza interrogativo?/

.

Guarda com’è piccolo un punto senza la domanda./
No, non potrei vivere/
in un punto e basta.

Frammento (XXII)

XXII

“Cosa posso fare per te?” mi disse la bocca./

“Voglio guardare dentro di te” risposi/
“sino a dove nasce il fiume nella grotta/
e con le dita pescatrici/
portare alla luce i tuoi sospiri”.

La verità dell'intelletto

C'è chi gonfia le guance nella convinzione di poter aspirare a tutte le verità del mondo per poi
soffiare il nulla come un mantice bucato.
Friedrich Nietzsche
Vi fu un tempo in cui l'intelletto umano non esisteva ma ora esso esiste e cerca pure di spingersi al di là e al di sopra della sua condizione strettamente umana, sottraendosi all'infelicità del deserto terrestre, di tanto in tanto sollevando lo sguardo al cielo e innalzando di qualche metro ancora la cupola concettuale eretta in secoli di costruzione del pensiero. Poiché tuttavia il cielo delle verità metafisiche è un territorio praticabile soltanto dal basso il rischio è che la teoria filosofica sia una volta magnificamente affrescata ma invisibile. Si vorrebbe allora, a Dio piacendo, che almeno qualcuna di queste verità scendesse dal cielo come raggio di luce a fissarsi sulla nostra fronte, attraversandola da parte a parte (verità rivelate). Ma che proceda in altezza o in profondità, l’intelletto vivrà sempre la contraddizione del dubbio. Un verme, assai più attaccato alla terra, o un uccello in cielo sanno quanto basta per andare avanti senza doversi porre domande sulla propria esistenza come fa l’uomo.
L’intelletto non vive separato dal resto del corpo, anzi  è nella natura umana di legarlo visceralmente ad esso, sottoponendolo alle forze stesse della natura, facendolo vibrare sotto i colpi delle fatiche dell'esistenza. È vero quel che Friedrich Nietzsche ha scritto e cioè che l’intelletto è un mezzo per conservare l'essere umano che altrimenti scomparirebbe assai più rapidamente sulla faccia della terra. Ecco perché l’uomo ha delle preferenze per quelle verità le cui conseguenze gli appaiono piacevoli per la sua conservazione: “egli desidera le conseguenze piacevoli - che preservano la vita - della verità, è indifferente di fronte alla conoscenza pura, priva di conseguenze, mentre è disposto addirittura ostilmente verso le verità forse dannose e distruttive” [1].
L’uomo si salva aggrappandosi a travi di concetti positivi [2], a colpi estenuanti di verità costruite creativamente, sfidando le leggi fisiche, sulla sabbia dell’astrazione, tuttavia, di tanto in tanto, in bilico tra essenza e parvenza, scivolando all’indietro quando lo sguardo è tormentato dal vuoto o l'occhio è ingannato dalla apparizione di una finzione.
Nietzsche, quando dice che le verità sono come il metallo rimasto di una moneta ma non sono più monete, intende dire che le verità umane non valgono più di quel che sono fatte, levigando l’intelletto con gusto creativo la superficie dei concetti a formare una piacevole immagine astratta.  
In una ricostruzione filosofica delle verità, il filosofo risale con l'immaginazione sino al primo intelletto comparso sulla terra quando apparve, mitica come una vergine dea olimpica, una verità primigenia. Essa, fertile, sparse sulla terra la sua “qualitas occulta [3 ] affinché dalla prima potessero nascere tutte le altre verità. Essa ci fa dire che non esistono due foglie uguali ma di due foglie nessuno può dire che una lo è e l'altra no perché ambedue hanno quel qualcosa che è foglia che le fa veramente essere entrambe foglie ai nostri occhi. Inoltre, io dico che questa cosa è una foglia perché qualcuno prima di me ha detto che è una foglia e qualcun altro prima di lui ha detto la stessa cosa e così via dicendo. Le verità acquisite addormentano l’uomo desto che non ha più nulla da scoprire e nel sonno l’intelletto scopre soltanto la finzione, occupandosene allo stesso modo che si occupa della verità. “Pascal ha ragione quando sostiene che, se ogni notte ci si presentasse il medesimo sogno, noi ci occuperemmo altrettanto di esso quanto delle cose che vediamo ogni giorno: <<se un artigiano fosse sicuro di sognare ogni notte, per dodici ore filate, di essere re, io credo allora>> dice Pascal <<che egli sarebbe altrettanto felice quanto un re che sognasse tutte le notti, per dodici ore, di essere un artigiano>>” [4]. Per spiegare la metamorfosi della finzione in verità Nietzsche risale all'antica Grecia: “Quando ogni albero può avere l'occasione di parlare, nascondendo una ninfa, quando sotto la figura di un toro un dio può trascinar via le vergini, quando la stessa dea Atena viene vista improvvisamente, su un bel cocchio, attraversare le piazze di Atene in compagnia di Pisistrato - e tutto ciò è creduto dagli onesti Ateniesi - allora in ogni momento tutto è possibile, come nel sogno, e tutta la natura si agita attorno all'uomo, quasi fosse unicamente una mascherata degli dei, contenti di fare uno scherzo all'uomo con ogni specie di metamorfosi ingannevoli” [5]. Occorre capire gli antichi Greci come i moderni: se presa per vera, la verità è degna di fiducia perché non mente.




[1] F.Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, Adelphi, Milano, 2015, pag. 15
[2] Così Nietzsche: “Quella enorme impalcatura e travatura di concetti, aggrappandosi alla quale il misero uomo riesce a salvarsi lungo la sua vita”, cit., pag. 33
[3] cit., pag. 19
[4] cit., pag. 31
[5] cit., pag. 32

(pubblicato su www.progettoprometeo.it)