Della poesia: dialogo con Anna K.Valerio

Anna parliamo di poesia, facciamolo muovendo da alcuni interessanti concetti che hai toccato nelle pagine iniziali di “Ezra Pound in immagini e parole”, uscito nel 2018 e pubblicato da Edizioni Ripostes.

  1. Hai parlato di una poesia quasi silenziosa, somigliante molto al silenzio; più della parola, che lega, è il non detto a liberare il cantus come se la fisicità contenitiva del verso poetato escluda proprio il verso perfetto, assoluto e soprattutto invisibile.
Ho provato spesso a ca(r)pire il segreto della grande poesia, che poi è il segreto della perfezione (e ho l’impressione sia pure il segreto della vita), ma lo splendore abbaglia e mi sono resa conto di dovermi accontentare di approssimazioni. Di formule che sono solo un andare a tentoni – un’allusione.
“Il sole non si vede quasi
ma è già chiaro, dall’altra parte,
come se tutta questa luce che viene
la facessero quattro case.”
Non c’è un’estrema pazienza, qui, nel mettere una parola dietro l’altra (e solo quelle utili a dire, non quelle per ascoltarsi e recitare una parte)? Un'estrema calma? Un’estrema, vellutata pacatezza? Un silenzio che avvolge le parole come una carezza – carezza leggera, che serve solo a dare loro il tepore della vita?
È sempre la troppa enfasi a disturbare la poesia, la sguaiatezza delle emozioni facili, ordinarie. La poesia è racconto dello straordinario. Non poggia i piedi per terra, non scappa dove non si riesce più a vederla: cammina con passi leggeri, di insonne-sognatrice discreta, di amante che porta, attenta a non farsi scoprire, il suo segreto pieno di vita. Una luce che si accendesse inopportuna, un’imboscata di cervelli cattivi, la farebbe venire meno. Infatti, oggi, la grande poesia deve combattere battaglie infami per farsi ascoltare.

  1. Di là le parole, di qua il silenzio, in alto il senso delle parole e il senso del silenzio, più in alto ancora la poesia, un canto robusto  o sottile. La poesia migliore materializza il silenzio in una serie di passi di senso alleggeriti il più possibile delle parole, come in un pellegrinaggio metafisico in cui il poeta meno parla e più si eleva.
Posso essere sincera? La metafisica mi è diventata sospetta da quando ho visto quanti mediocri la invocano come alleata e parlano di elevazione. Iniziazione, dimensione sacrale, aristocrazia… Quante fughe e diserzioni in nome del sovrumano! Per me l’amore della metafisica è onesto quando la si cerca anche nel mondo, nelle cose, nei gesti, nei particolari, nei romanzi del caso. Questo, appunto, fa il poeta.
“- Quanto tempo – dirai. E ci sarà
odore di treni, di fritto
e una piuma di vento marino
già dall’Uscita. Sugli agri giardinetti
della Stazione tornerà la luna.
  • Come va – chiederai. Da un indomato
vecchio spiccio poema d’amore
sorriderti sarà meraviglioso:
  • Bene, quando ti vedo.”
Il poeta cerca la luce nei corpi, cerca la musica nel respiro. E quanto al silenzio… Sta là ad aspettare che dal silenzio nasca la parola, ma come la levatrice, impaziente di vita, non come il monaco zen.   

  1. Il poeta Allen Ginsberg, che hai citato, ha scritto: “mediante uno spacco tra le due parole - come lo spacco dello spazio nella tela - ci sarebbe stato tra le due parole uno spacco che la mente avrebbe riempito con la sensazione dell’esistenza.” La poesia del silenzio - se così possiamo definirla - dunque spacca o unisce l'esistenza?, apre il vuoto dell’esistenza o riempie un vuoto già esistente? È più corretto dire che in essa il silenzio si espande o si contrae?
L’esistenza, purtroppo, è fatta di cose che si affastellano senza senso, di ingiustizie che ti aggrediscono, di voci che fanno rumore, di gesti scomposti, e sopra tutto, in fondo a tutto, alla radice di tutto, c’è il baratro terribile del mistero, un buio doloroso che ci imprigiona, l’abisso che non conosciamo, che ci impone il salto cieco e spettacolare nella fede o la disperazione.
L’esistenza è terribile. Malattie, abbandoni, povertà, violenze. Ma in certi momenti la vita è così potente da far dimenticare il male e il dolore. Il poeta prende nota di quei momenti – “per tutte le cose precarie che splendono miti” –, di quei paesaggi. Anzi, spesso è lui a riempirli di vita, di eternità, di verità. Il silenzio lo consiglia e lo accompagna.
“Il tuo ricordo, sul fondo
della mia solitudine,
ne rivela l’ampiezza
e tuttavia la limita.
Così un canto d’uccello
addolcisce l’immensità del cielo
e una singola vela
rende umano il mare.”
La poesia è balsamo per chi ama la verità; voce incomprensibile per gli altri. È, insieme, intima e inesauribile.
Se si leggono questi due versi:
“a studiare quest’aria calda che suona
come un pianoforte a coda capovolto”, di un poeta che non è Leopardi né Dante, ma è in due versi un poeta perfetto, non si può non sentire che sotto il rumore del mondo c’è la musica e nel caos del mondo c’è l’amore. Non si può: eppure troppi non se ne accorgono. Troppi sono i cuori prosaici, nonostante l’inflazione dei festival letterari. E non c’è abisso più fondo di questo, né tragedia più sconfortante.

Solo due parole ancora: grazie Anna!

(pubblicato su www.progettoprometeo.it)


Frammento (XXXVIII)

XXXVIII

Seduta sulla tua sedia/

disposta/
al tuo bacio d'inizio/
composta/

disposta/
poi in cavalcata/
scomposta/

disposta/

frenato all'arrivo il mio corpo al galoppo/

sfinito/

-ma tu non hai finito-

a proseguire/

con riposante passo/
ritmico adagio/

disposta.
"Francesca", Giuseppe Ravizzotti (2015)

Frammento (XXXVII)

XXXVII

Guardo la tua bocca,/

guardo i tuoi occhi,/

affondo nella tua bocca,/

affondo nei tuoi occhi./

Non voglio salvarmi./

Voglio affondare,/

al di sotto del giunco/

dopo i baci come mulinelli/

e pontili i tuoi sguardi/
dai quali calarsi.



"Figura 120", Michele Petrilli (2018) 

Frammento (XXXVI)

XXXVI

Mi scavi/ e goccioli./ Goccia a goccia/ che bel suono echeggiante/ ha il tuo corpo/ oscillante/ ed io canto rapita/ dal suo ritmo incalzante.
"Satiro e ninfa", Enrico Ratti (2015)

Frammento (XXXV)

XXXV

La penosa conta/
smetti, di contare/
numeri, non sono più numeri i tuoi giorni/

ma saliva./

Non contare quanti te ne servono per vivere,/
non schiumare esageratamente - vecchio/
di saliva/

non ne hai di buona qualità per filare molti giorni/
né colla resistente per incollarli alla tua bocca cadente.
"Landscape", Alberto Lasala (2004) 

Frammento (XXXIV)

XXXIV

Cos’è la mia bocca?/
Una vasca/
di vapori/
carnali,/
di getti improvvisati,/
di tuffi professionali./
Una piscina/
per la tua atletica lingua. /
Le dita in delirio/
applaudono le mani.
"Specchio", Giulia Gellini (2007)

Frammento (XXXIII)

XXXIII

Si chiude un occhio, se ne chiudono due./
Le formiche in coro portano in spalla un capello morto./

-...dormi?-
"Danza di spiriti nel cappello della notte", Giovanni Cafarelli (2004)